news / 03.06.2014
Mirco Garrone si racconta a Kino Review

Garrone parla della sua idea di cinema attraverso il rapporto con grandi autori: Marco Bellocchio, Nanni Moretti, Carlo Mazzacurati e Daniele Luchetti. Il montaggio secondo Garrone, è un'arte "povera" ma essenziale, come la cucina, dove la sapienza sta tutta nel fare il piatto migliore partendo da quel che si ha. E rivela: "il finale di Caro Diario l'ho suggerito io a Nanni…"

 

Anche i montatori hanno cominciato da piccoli?
“Quando ho esordito al montaggio con Marco Bellocchio, ero il più giovane di tutti: io avevo meno di 30 anni, i grandi – nomi come Ruggero Mastroianni o Franco Fraticelli – molti di più. Si lavorava in pellicola e la gavetta era lunghissima, prima di arrivare in sala col regista passavano anni”.

Il montaggio ai tempi della moviola era tutta un’altra cosa?
“Basti pensare che con la pellicola si lavorava molto più sulla memoria visiva. Oggi puoi rivedere ogni scena quante volte vuoi al computer: tagliare, provare, sbagliare anche all’infinito prima di avere quella buona. Ma prima dell’avvento dell'Avid non era così. Intanto, perché noi stavamo davanti alla proiezione del girato, che era continua. L’assistente al montaggio mi avvertiva: “Mirco, ce ne stanno cinque (di scene da visionare e tra cui scegliere ndr). E tu dovevi decidere subito, non è che potevi rivedere. Come se non bastasse, se il montatore sbagliava il taglio, tutti avrebbero notato il tentativo sbagliato, perché si vedevano le giunture. Ecco spiegato perché al montatore era richiesta tanta esperienza: dietro ogni gesto c’era un’idea, nulla era lasciato al caso”.

Come descriveresti il mestiere che fai, con successo, da oltre trent'anni?
“E’ un po’ come cucinare. Se hai tre cose nel frigo ma riesci lo stesso a fare un buon piatto, allora sei un bravo montatore. Perché il montaggio è ‘fare di necessità virtù’. Capire fino in fondo il materiale che hai e sapere dove puoi arrivare con quello. Assomigli anche a un viaggio. Sono a San Lorenzo, a Roma e voglio arrivare in Turchia? Devo decidere la strada migliore da prendere, ma comunque devo arrivare”.

Il buon montatore è un artista “povero”, uno che si quasi si arrangia? E il cattivo montatore, invece?
“E’ quello che prepara senza guardare cosa c’è in frigo – è quello che decide tutto a tavolino, indipendentemente dal materiale che ha a disposizione. Insomma, il professionista vede cosa c’è e ragiona ‘all’inverso’, pensando: cosa ci posso fare con questa roba? Come la metto in valore? Ma la sostanza se la trova davanti…”

Tu hai firmato il montaggio di alcuni tra i migliori film di Nanni Moretti. Com'è lavorare con lui?
“A Nanni gli ho sempre manifestato le mie idee, anche quando erano in contrasto con le sue. Nonostante la sua spigolosità di carattere, alla fine ne teneva sempre conto di quello che dicevo, e il risultato, i film che abbiamo fatto insieme, parla da solo. Credo che l'incontro con Nanni sia stato un incontro fortunato per entrambi. Quando sceglievamo il materiale io cercavo di capire quale fosse quella buona, lui cercava quella da scartare. Poi rivedeva tutto anche cinquanta volte e alla fine forse avevamo scelto quella buona per tutti e due. A proposito di spigolosità di carattere. Sai una cosa: il montaggio di “Palombella rossa” è stato studiato per mesi dall’Académie française a Parigi. Non me l’ha detto Nanni, ma la produttrice francese – altrimenti non l‘avrei mai saputo”.

E in effetti tu hai lavorato nei film forse più riusciti di Moretti, da Bianca a Caro Diario. Ma quanto c’è di te, in quanto montatore, in un film?
“Tantissimo. Sì, ho lavorato nei film forse più riusciti di Nanni Moretti: non sei il primo che me lo dice. Forse sono stato fortunato, forse no. Forse è stato fortunato Nanni, comunque fa fede il risultato dei film fatti insieme. Penso che ci sia uno stile abbastanza riconoscibile, anche legato al montaggio. Credo che il montaggio sia veramente l’anima del film. Immagina di avere un’infinità di parole che poi bisogna mettere insieme: ci vuole qualcuno in grado di farlo per dargli un senso narrativo o poetico. Ecco, lo stesso vale per il montaggio. Un film è fatto dalla infinità di possibilità di combinare insieme immagini, inquadrature, suoni, pause, e a seconda di come le metti possono completamente cambiare il senso della storia" .

E come ci si regola?
“Impari con il mestiere, con l’esperienza. Tutto dipende dalla tua sensibilità: un montatore non può essere anaffettivo, perché se non prova emozioni lui stesso, non capisce il materiale che ha sotto mano. Proprio per questo io faccio sempre e solo un film alla volta. E lo finisco sempre. Entro nella storia, e per me sarebbe impossibile lavorare su più cose, come vedo sempre di più fare adesso. Credo siano importante la coerenza, il rigore e lo stile che nasce da mille rifiuti, cioè soprattutto da ciò che non vuoi fare".

Cosa altro serve per fare il tuo mestiere?
“Se dovessi sintetizzare direi: passione, ricerca e assenza di frammentazione psichica. Non devi essere scisso o dissociato. Ma è anche importante che quando rivedi il materiale lo devi guardare grandissimo distacco, come se lo avesse fatto un altro. Andrebbe sempre visto come se lo guardassi per la prima volta o come se non lo avessi nemmeno fatto tu”.

Quando ti è capitato di pensare: questo l’avrei fatto in modo diverso?
“Con Mio fratello è figlio unico, di  Daniele Luchetti – un filmaker, ci tengo a sottolineare, molto importante per me e con cui ho un ottimo rapporto professionale. Il film è stato completamente riscritto in fase di montaggio (così come era stato anni prima anche per I laureati di Pieraccioni, il suo primo grande successo). Proprio un regista intelligente come Luchetti mi ha dato la libertà di ri-montare tutto il film. Anche l’idea di Nada, di cui alla fine si sente la canzone nella scena del finale al mare, è una mia trovata. Se guardate il playback si vede che ‘Amore disperato’ è stato sovrapposto: in origine, Germano e gli altri cantavano una vecchia canzone francese. A me però sembrava non funzionasse troppo…” 

Ma non è l’unico caso in cui il tuo intervento è stato essenziale al film?
"Moretti – torniamo a lui – aveva un grosso problema: non sapeva come far finire “Caro diario”. Io avevo visto un suo corto in cui lui andava a vedere la tomba di Pasolini a Ostia. Così gli dissi: “Nanni, secondo me quel corto è il finale che cerchi”. “Sei pazzo”, mi rispose all’inizio. Però poi l’idea gli è piaciuta. E ne film c’è proprio quella scena: Nanni in Vespa che va “nel posto dove hanno ammazzato Pasolini”. Permettimi ora di ricordare un altro grandissimo regista e amico con cui ho lavorato tanto, fin dal suo esordio abbiamo firmato insieme tantissimi film: il regista Carlo Mazzacurati, che oltre ad essere un grande cineasta era una persona meravigliosa. Ciao Carlo!"

Andrea Valdambrini - www.kinoreview.it - 3/6/2014