Ciò che vediamo è determinato in larga misura da ciò che udiamo potete verificare questa semplice proposizione con un semplice esperimento spegnete l'audio del vostro televisore e sostituitelo con una colonna sonora arbitraria preregistrata sul vostro magnetofono rumori stradali musica conversazione registrazioni di altri programmi televisivi troverete che la colonna sonora arbitraria sembra essere appropriata e sta infatti determinando la vostra interpretazione del film sullo schermo gente che corre dietro all'autobus in piccadilly con una colonna sonora di mitragliatrici sembra pietrogrado 1917.
William Burroughs, Il biglietto che è esploso, Sugarco Edizioni, p. 201
Il sonoro cinematografico esiste da quasi ottant'anni, tuttavia ancor oggi si dice “vedere un film”. L'uso linguistico tradisce la scarsa stima in cui generalmente è tenuto il suono: si trascura il suo potente contributo, un lavoro sommesso ed incessante, che agisce spesso a livello inconscio, subliminale. La disattenzione nei confronti del suono è tanto più ingiusta se si considera che mai il cinema è stato realmente muto: il silenzio totale – che incute disagio, che rende le figure umane proiettate sullo schermo troppo simili a fantasmi – era evitato grazie a un narratore/commentatore. (Anche in tempi più recenti si è verificato il medesimo fenomeno: se oggi esistono le videocamere portatili con sonoro incorporato, venti o trent'anni fa la pellicola formato Super8 era generalmente muta: ve lo immaginate il filmino delle vacanze estive proiettato alla famiglia riunita in assoluto silenzio? No, si chiacchiera, si commenta, si spiega: il filmato, di solito scadente, acquista rilievo e significato grazie al rapporto con le parole dei commentatori: elementi sonori, appunto.)Il sonoro non si limita a “raddoppiare” l'immagine, attribuendo ad un oggetto il suono corrispondente: il suo intervento è ben più complesso. Il suono lavora in rapporto con l'immagine. La somma di un'immagine con un suono produce un significato che è diverso da quello della singola immagine e del singolo suono: sullo schermo vediamo un uomo che cade a terra, contemporaneamente udiamo un colpo di pistola: il significato si produce unicamente grazie alla somma dei due elementi. Così come ogni immagine ha significato in relazione a quelle che precedono e seguono (è il potere del montaggio, dimostrato dagli esperimenti di Lev Kulesov), ogni immagine ha significato in rapporto ai suoni che l'accompagnano: immagine + immagine, immagine + suono sono le equazioni primarie del linguaggio cinematografico.Il suono può ricoprire una sorprendente varietà di funzioni non omogenee tra loro e situate a differenti livelli logici. Schematizzando al massimo, possiamo indicare tre differenti modalità di intervento del sonoro.1.Il sonoro contribuisce all' “impressione di realtà” del cinema: la rappresentazione della realtà veicolata dalle immagini si arricchisce di un secondo canale sensoriale, dunque è un passo più vicina alla realtà stessa. Non si tratta però di “raddoppiare” le immagini con i suoni corrispondenti: il sonoro può svincolarsi dall' hic et nunc narrativo, può andare fuori campo, può anticipare il futuro, può ritornare dal passato. Sarebbe interessante costruire un modello di classificazione del sonoro nel cinema narrativo: ne risulterebbe un diagramma ad albero che si sviluppa per opposizioni, di cui la prima e fondamentale sarebbe quella fra sonoro giustificato dalla diegesi (cioè ogni suono interno al mondo narrativo creato dal film: le parole dei personaggi, i rumori degli ambienti, le musiche provenienti da fonti presenti nella storia) e sonoro non giustificato (il caso più ovvio è la musica “di commento”, esterna alla narrazione). Particolarmente curiose da questo punto di vista sono le transizioni fra sonoro giustificato e non giustificato nel film hollywoodiano: Fred Astaire inizia un numero di danza senza musica, solo con il ritmo del suo tip-tap (sonoro interno alla narrazione), poi un'orchestra invisibile (sonoro di livello esterno) riprende il tema con grande naturalezza espressiva, ma con un notevole “salto” logico.
L'occhio (in genere) superficiale, l'orecchio profondo e inventivo. Il fischio di una locomotiva imprime in noi la visione di una intera stazione.
Robert Bresson, Note sul cinematografo, Marsilio, p. 772.Il sonoro coopera con le immagini nella strutturazione dello spazio, in particolare del fuori campo. L'ambiente sonoro è in un certo senso sempre più ampio dell'inquadratura, e ciò contribuisce a creare e caratterizzare gli spazi dell'universo narrativo: Marlowe-Bogart ne Il grande sonno (Howard Hawks, 1945), dopo aver assistito ad un ennesimo omicidio, è in piedi accanto ad una finestra; lontano, una sirena della polizia, l'eco del traffico: i suoni disegnano lo spazio della metropoli, e allo stesso tempo connotano l'angoscia del personaggio. Il sonoro può anche segnalare la presenza di oggetti o personaggi fuori campo: Peter Lorre in M (Fritz Lang, 1931) annuncia la sua minacciosa presenza fischiettando fuori campo un brano del Peer Gynt di Grieg. Infine, nei casi più estremi (Robert Bresson), il sonoro può addirittura sottrarre alle immagini il potere della narrazione: la vicenda viene raccontata non più dalle immagini, ma soprattutto dai suoni fuori campo.Il sonoro può anche strutturare il tempo narrativo. La musica indica spesso lo scorrere del tempo, i passaggi temporali, l'inizio di un flash-back. Particolarmente bello e complesso è il flash-back parigino di Casablanca (Michael Curtiz, 1943), che viene introdotto da una dissolvenza incrociata ma soprattutto dal brano As Time Goes By eseguito dal pianista Sam per Rick-Bogart: il tema, che già evevamo ascoltato nel corso della vicenda, ritorna all'interno del flash-back e simmetricamente lo chiude, caricandosi di significati narrativi ed emotivi.
Quanti film rappezzati dalla musica! Si inonda di musica un film. Si impedisce di vedere che in quelle immagini non c'è niente.
Robert Bresson, Note sul cinematografo, Marsilio, p. 1213.
Ultimo grande settore di intervento del suono, particolarissimo, è quello di dominio della musica esterna alla narrazione. La musica da film ha uno status molto singolare. Non è né un elemento creatore della narrazione (non racconta una storia, come le immagini), né un elemento interno alla narrazione (come gli altri suoni “giustificati”): è un elemento estraneo che fornisce agli spettatori una serie di “istruzioni” per accogliere la narrazione: una “strategia” del discorso fìlmico. In un film di suspense la musica crea angoscia e paura (Shining di Stanley Kubrik, 1980, è un buon esempio di tensione creata in gran parte dalla musica), in un melodramma la musica ci suggerisce quando commuoverci e quando piangere. Naturalmente c'è film e film, c'è musica e musica: la partitura di Bernard Herrmann per Psycho (Alfred Hitchcock, 1960) fornisce istruzioni allo spettatore e allo stesso tempo raggiunge vertici altissimi per qualità e complessità.Spingendo alle estreme conseguenze la nostra ipotesi si giunge ad individuare un ultimo livello operativo della musica, un'opzione di fondo: la musica contribuisce ad unificare nella sua globalità il testo filmico, instaura la comunicazione tra il film e lo spettatore e lavora per conservarla sino alla fine della proiezione. Non a caso, nei film mal riusciti, la colonna sonora può essere consapevolmente usata per salvare montaggi sgangherati, per aggiustare recitazioni scadenti, per superare cadute di ritmo. L'obiettivo in questi casi è sempre lo stesso: mantenere la comunicazione con lo spettatore. (Anche nei programmi TV e nella pubblicità la musica è presente praticamente al 100%: lo scopo vitale è quello di agganciare con ogni mezzo e istantaneamente l'attenzione dello spettatore.)Instaurare, mantenere la comunicazione: questo forse ci spiega la ragione per cui all'inizio del secolo la musica si dimostrò l'alleata più naturale del cinema muto: cosa c'era infatti di più efficace per aiutare le traballanti immagini a stabilire una comunicazione con spettatori stupiti e affascinati dal nuovo e sorprendente spettacolo? Il suono ci dimostra sin da allora il suo potere grande e discreto.
Conversazione con MICHAEL BILLINGSLEY
Da qualche tempo la cinematografia italiana si sta lentamente adeguando al resto del mondo nel riconoscere il ruolo capitale del sound editor, il montatore del suono. Ne parliamo con Michael Billingsley, americano trapiantato a Roma, uno dei maestri del suono del cinema italiano. La lista dei film cui ha collaborato è impressionante, oltre trecento titoli; tra i registi, Michelangelo Antonioni, Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Pietro Germi, Sergio Leone.
Michael Billingsley: Il montaggio del suono è parte integrante e fondamentale del montaggio di un film. Quando le immagini sono state montate in una forma più o meno definitiva, si inizia la costruzione delle varie colonne del suono: presa diretta, effetti sonori, musica. Una parte importantissima del lavoro sulla presa diretta consiste nell'analisi delle battute degli attori: spesso accade che in una scena scelta e approvata dal regista per le sue caratteristiche globali ci siano battute (o parti di esse) imperfette, vuoi per una cattiva registrazione, vuoi per un errore dell'attore. In questo caso si cerca fra i tagli e i doppi della scena una possibile sostituzione per quella battuta, e solo se non la si trova si va in sala di doppiaggio.Il montatore del suono deve essere in grado di “sentire” le emozioni, deve saper cogliere le sfumature della recitazione. E' un lavoro allo stesso tempo tecnico e artistico: maggiori sono l'esperienza e la sensibilità del montatore, maggiori saranno la precisione e l'efficacia delle sue scelte.Il lavoro sul dialogo di presa diretta è la base del montaggio sonoro. Se poi si allarga il discorso a tutto l'insieme dei suoni, degli effetti, delle musiche, le possibilità divengono enormi. Da questo punto di vista il montaggio del suono è complesso quanto il montaggio della scena, con una significativa differenza: i suoni possono essere inventati ex novo, la creazione e le possibilità combinatorie sono illimitate. Possiamo dire che il montatore della scena “inventa” ciò che sposta, mentre il montatore del suono “inventa” i suoni che desidera per rendere più efficace la scena. Questo è il vero lavoro del sound editor: analizzare, giudicare e selezionare i suoni, trovarli, crearli… Montarli e metterli a sincrono è la cosa più banale!
Luca Gasparini: In Italia gli spettatori sono di solito (male) abituati da decenni di doppiaggio e non sono in grado di apprezzare compiutamente la presa diretta e in generale l'aspetto sonoro di un film. La situazione sta cambiando?
Michael Billingsley: Bisogna ricordare che la cultura italiana è essenzialmente visiva, secoli di grande tradizione pittorica alimentano questa tendenza. Non per niente i direttori della fotografia italiani sono così quotati all'estero… Tuttavia, ho visto negli ultimi tempi lo sviluppo della presa diretta, con fonici e montatori del suono in grado di fare un buon lavoro. L'importante è che il regista e soprattutto il produttore vogliano la presa diretta sapendo quello che vale, ed essendo disposti a spendere per essa.Girare un film in presa diretta costa un po' di più, perché se il suono di un ciak non è buono occorre ripeterlo. Oggi ormai molti produttori (non tutti) e molti registi conoscono i pregi della presa diretta, e accordano il tempo necessario per girarla e montarla. Montare bene il suono richiede molto tempo: se le immagini sono state montate ad esempio in tre mesi, sarà necessario l'equivalente per il suono.
(Revisione di un articolo originariamente pubblicato sulla rivista Movie, n. 26, Gennaio 1993)
Luca Gasparini